Dopo 55 anni la Fiera del Sangiovese del centro storico di Coriano si è trasformata in un nuovo format, il Coriano Wine Festival, grazie alla volontà dell’amministrazione comunale nella persona del sindaco di Coriano Gianluca Ugolini, dell’Assessore alla Cultura Turismo Eventi Anna Pazzaglia, e della Proloco Coriano nella persona del suo presidente Fabio Cavola e grazie a Francesco Falcone – carismatica ed autorevole presenza nel panorama attuale della divulgazione e del giornalismo del vino in Italia – direttore artistico e curatore della manifestazione.
Sono stata testimone oculare del salto di qualità della produzione vitivinicola dell’ultimo decennio in Romagna, dal 2017 mi sono affacciata ad esplorarne i vitigni, i suoli e coloro che ne sono custodi, uomini e donne del vino, anche grazie al prezioso tramite di divulgatori e professionisti come Francesco, che a tutt’oggi riveste per me il ruolo di guida e maestro per l’approfondimento del liquido odoroso nelle sue variegate espressioni. Sono quindi giunta a questo festival come si salta su un treno in corsa, senza indugio, totalmente catturata dall’amore per il Sangiovese, certa di vivere un’esperienza che mi avrebbe arricchito di nuove conoscenze e consapevolezze. E così è stato.
Ho avuto il privilegio di partecipare ad entrambe le giornate del Coriano Wine Festival, sono grata a Francesco e Fabio per avermi consentito di vivermene appieno tutte le sue fasi: il convegno introduttivo, i laboratori degustazione e, nel tempo rimanente, i banchi di assaggio di una trentina di produttori a rappresentare le versatili espressioni del Sangiovese in Romagna. E’ stata davvero una grande festa del Sangiovese, concepita nell’idea del confronto tra vignaioli, degustatori, esperti e semplici appassionati, che dalla Romagna ci ha consentito di allargare la visione alle esperienze fuori dai confini regionali; per questa prima edizione, nello specifico, il focus si è orientato dalla Romagna alla Toscana.
“Sangiovese: indagine su un vitigno al di sopra di ogni sospetto” il titolo del convegno introduttivo ai lavori svoltosi nella sala Isotta del Teatro CorTe. Dopo l’introduzione di Francesco Falcone, che illustra ai presenti il calendario di questa prima edizione del festival e la presentazione dei partecipanti al convegno, Marco Casadei – moderatore della tavola rotonda composta da Maurizio Alongi, Paolo Babini, Enrico Bevitori e Marino Colleoni – riprende la dichiarazione d’intenti di questo festival: che si arrivi al termine della mattinata con più domande che certezze. In effetti ragionando sul carattere del Sangiovese – vitigno che certezze non da, che di per sé mette in difficoltà perchè si mimetizza, lasciando trasparire il territorio e l’annata e la mano del produttore – questa affermazione risulta davvero calzante al contesto. Il confronto, la ricerca generata dai dubbio, sono stati step fondamentali per la crescita qualitativa avvenuta in Romagna e di certo a tutt’oggi sono stimolo nel mettersi in gioco sempre meglio, anche agli occhi della critica oltre che a quelli del mercato.
Il primo intervento è quello di Maurizio Alongi, enologo che dopo oltre trent’anni di attività professionale in Chianti Classico dal 2015 ha intrapreso nel ruolo di produttore il progetto Vigna Barbischio, che approfondiremo in seguito, grazie ad un laboratorio degustazione dedicato. Maurizio ci racconta dei suoi esordi nel mondo del vino alla fine degli anni ’80, in una cantina cooperativa del Chianti Classico senese. Il periodo storico era particolare, da una parte la comunicazione esaltava il Sangiovese ma il vino ancora non brillava, gli interventi correttivi in cantina erano frequenti, c’erano problemi di colore, di tannini, di acidità. A quel tempo sentendo parlare grandi enologi, un esempio su tutti Giacomo Tachis, si dubitava che dal Sangiovese potesse venire fuori un grande vino.
Da allora ad oggi le cose sono cambiate non solo in Chianti Classico ma anche nelle altre zone d’elezione della varietà: da una decina d’anni ad oggi il Sangiovese sta attraversando un momento davvero felice. Eppure proprio ora che sempre più si riesce a vinificare con successo in purezza ci si rende conto che di Sangiovese non se ne sappia ancora abbastanza, anche in zone storiche come queste sembra che molto ci sia ancora da approfondire, conoscere, sperimentare. Adesso è matura la consapevolezza che da un Sangiovese in purezza è possibile ottenere un vino importante, ad esempio ci sono Sangiovese di selezione clonale con contenuto polifenolico interessante ed anche la parte aromatica è cambiata. Siamo in un trend in cui le aziende stanno valutando di non usare legno e di optare per il cemento.
A proposito del cambiamento climatico ormai in atto anche in Chianti Classico, il territorio finora si sta comportando bene. Alcune zone, una volta più problematiche, ora sono più fresche e altre, a nord, decisamente al limite ma ancora gestibili. Ma certo la tecnica in vigna è cambiata, le riporta l’esempio della sfogliatura. Una volta era diventato quasi automatico fare le sfogliature precoci perchè ciò portava ad avere delle bucce più ricche di sostanze fenoliche. L’ambizione è fare vini di vigna, in toscana c’è una riscoperta continua di canaiolo, ciliegiolo, foglia tonda. Oggi l’abilità dei produttori sta nel saper osservare la natura e leggere il cambiamento, comprendere come si comporta la pianta rispetto al clima, le scelte operative e stilistiche sono ben ponderate.c’è una maggiore consapevolezza nel modus operandi.
L’intervento di Paolo Babini, incentrato su vitigno e suolo, si rivela una vera e propria lezione sull’origine del Sangiovese e sui suoli di Brisighella che rappresentano, nella loro connotazione estremamente variegata, un illuminato esempio di quelli dell’intera Romagna. Paolo inizia il suo intervento citando Remigio Bordini, che a proposito di Sangiovese affermava : “il vitigno parla sottovoce, fa urlare il suolo”, ad evidenziare come le diverse tipologie di suolo rivestano un ruolo fondamentale nella risultato finale del Sangiovese al calice. Dall’origine del vitigno si sofferma poi in dettagli sul comportamento del Sangiovese sulle varie tipologie di suoli, finanche alla resa del bouquet aromatico olfattivo per ogni tipologia di suolo illustrato e ci riferisce pure di come sia mutata dagli anni 70/80 ad oggi la mano stilistica del Sangiovese romagnolo, ad esempio nella prevalenza in alcune zone del frutto rispetto al floreale tendente alla viola allora più evidente. Un intervento davvero succoso e interessante, specialmente per gli addetti ai lavori, ma di Brisighella dalla viva voce di Paolo avrò modo poi di approfondire nell’articolo dedicato al laboratorio degustazione Poggio Tura.
Enrico Bevitori è un tecnico agrario che si occupa dal 2007 di agricoltura biodinamica ed ha maturato esperienze in Romagna e nelle Marche. Negli ultimi anni con l’amico enologo Alberto Banci ha fondato “Radici di Vino” ed insieme operano come consulenti per le aziende sul metodo biodinamico e su tecniche di agricoltura organica e rigenerativa.
Il suo intervento si focalizza sull’ agricoltura biodinamica, parte dal suolo e dalla sua vitalità, dall’importanza dell’ossigeno, elemento primario e vitale da apportare al suolo e, conseguenzialmente, alla pianta; si parte lavorando con l’ossigeno, poi si semina e si arricchisce di humus anche compostando, si copre sempre con delle piante e alla fine si completa con preparati biodinamici. Tutto questo lavoro serve per la vita dell’apparato radicale, è un mondo complesso da analizzare che oggi si studia con strumenti altrettanto complessi.
Cita lo studioso Stefano Mancuso ed il suo volume sull’ intelligenza delle piante : è stato misurato biochimicamente che le piante si connettono tra loro, hanno molto da insegnarci. Dobbiamo imparare come interagire con la terra, per riuscire a comprendere appieno come comportarci nel rispetto della biodiversità, cercando di mantenere al meglio il suo stato di salute.
Dopo averci poi fornito una rapida panoramica sui suoli riminesi e le loro caratteristiche, anche nella resa vitivinicola, ricorda il ruolo fondamentale dei microorganismi, che danno sentore al vino e ritorna sul valore della biodiversità dei suoli. Conclude con l’esempio dell’esperienza professionale durata un biennio nell’azienda agricola Pertinello, esempio di azienda complessa con tantissimi appezzamenti di vigna con sbalzo altimetrico per la conformazione a terrazze, suoli di carattere arenaceo calcareo con sedimenti di marna in cui si sta cercando di lavorare apportando ossigeno nella maniera più equilibrata possibile, per migliorare senza stravolgere. La cura infinita del bosco tutto intorno con i suoi animali è altrettanto importante. Vien voglia di andare a pianificare una visita e di approfondire tutte queste tematiche legate all’agricoltura rigenerativa.
L’intervento conclusivo di Marino Colleoni, stimolante, rivoluzionario, sicuramente provocatorio per alcuni, rispecchia appieno la sua storia e personalità di vignaiolo.
La folgorazione per un vino rosso dissimile da qualsiasi altro fino allora bevuto avviene a Bergamo, nel 1974, in una cena con amici, : un Brunello Biondi Santi del ’59, “un’anomalia perfetta” con una facilità di beva “come bere un bicchier d’acqua”, lo conduce a Montalcino, dove incontra un Brunello totalmente diverso, con tantissimo alcol in più rispetto a quella bottiglia, che lui definisce “rurale”, fortemente dissonante dal precedente, figlio del riscatto della borghesia di allora. Nel tempo cambia la tecnica, cambia il clima, cambia lo stile di fare il vino a Montalcino. Oggi si chiede: “perchè fare defogliamento, cimatura, se quella pianta ha avuto bisogno di fare quel tralcio, quel grappolo? Quanto terroir gli togliamo? Oggi a Montalcino ci si potrebbe permettere di uscire dalla logica del business e provare ad entrare nella logica della pianta. Cosa significa lavorare meglio in vigna, oggi? Quanto sappiamo del sistema neuronale delle piante?” Queste alcune delle domande che Marino si pone e che ci ripresenta in questa sede, stimolando al dibattito e alla riflessione i presenti in sala.
Dal 2000 ad oggi Marino si è sempre più “tirato indietro” pensando più dal punto di vista della pianta e sempre meno da quello della resa utile per il mercato. C’è stato un processo semplificativo e i suoi vini stanno diventando “quasi come l’acqua”, di una facilità enorme, assoluta delicatezza, facilità della bocca, assenza di fatica del bere: “Il nostro stile deve adeguarsi allo stile che la natura ci impone”
Il suo intervento è il felice corollario di questo convegno, per le provocazioni che sono scaturite, per le verità scomode con cui dobbiamo fare i conti. Tralasciando qualche piccolo ed inevitabile luogo comune venuto fuori in platea durante dibattito conclusivo, di certo più numerosi e proficui sono stati gli spunti di riflessione sullo stato presente del Sangiovese in Italia e le visioni proiettate al futuro, alla luce del cambiamento climatico ormai in atto e della condivisa volontà di preservare al meglio possibile la qualità dei suoli e della vite.
Per la densità degli eventi, degli interventi interessanti e conseguenzialmente dei contenuti del Coriano Wine Festival è impossibile condensare quel che ho vissuto in due giornate in unico articolo.
Seguiranno:
- i laboratori nella giornata di sabato 19 agosto, di analisi e confronto nell’espressività e nell’interpretazione del Sangiovese in Toscana: prima dialogo con Maurizio Alongi sul Chianti Classico e sulla sua esperienza a Vigna Barbischio con relativa degustazione e poi Montalcino, con Marino Colleoni in un confronto tra Brunello Riserva Podere Sante Marie e il Rosso di Montalcino.
- i laboratori di domenica 20 agosto: quello con Paolo Babini, sulla Romagna ed i suoli di Brisighella , con una verticale di Poggio Tura per poi concludere questo festival con un laboratorio a cura di Francesco Falcone interamente dedicato all’indagine sulle origini e sulle discendenze del Sangiovese, dei vitigni che sono parenti, che ha avuto il fine di analizzare assonanze e differenze e che è stata la conclusione felice di questa due gg intensa per riflessioni e spunti e che ci ha consentito di porre le fondamenta per la seconda edizione del Coriano Wine Festival che vedrà la luce nelle giornate del 17 e 18 agosto 2024.